Gianluca Pietrucci ricorda il nonno Vito, dipendente dell’Itavia, e l’incidente di Ustica

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“Ricordo ancora mio nonno Vito, la sua affabilità e la sua grande onestà d’animo. Era un uomo come tanti, benevolo e garbato, ma a un certo punto della sua vita visse un profondo dramma interiore, a causa di un incidente di cui fu coinvolto solo indirettamente, ma che lo segnò per tutto il resto della sua vita. Sto parlando di mio nonno materno, Vito Sforza”. Con queste parole l’imprenditore Gianluca Pietrucci ricorda suo nonno Vito e la tragedia di Ustica, che colpì i passeggeri a bordo di un aereo della compagnia Itavia, dove Vito Sforza lavorava in quegli anni.

“Il 27 giugno ricorre l’anniversario della Strage di Ustica – ricorda Gianluca –, il tragico incidente che causò la morte di 81 persone in viaggio tra Bologna e Palermo su un aereo della compagnia Itavia. Mio nonno lavorava per questa compagnia aerea: fu dipendente di Itavia dal 1961 al 1981. Ho ancora tanti ricordi di quando, da bambino, giocavo negli hangar e sulla pista dell’aeroporto di Ciampino: mio nonno mi lasciava fare tutto. Per me veder volare gli aeroplani era un’esperienza unica: mi divertiva e mi affascinava allo stesso tempo. Mio nonno Vito era come una specie di supereroe per me, proprio perché lavorava in quel mondo magico che faceva volare la gente.

Ma da quella tragica sera del 27 giugno 1980 tutto cambiò. Mio nonno aveva il compito di accompagnare con il pullman i suoi colleghi e amici, che nel tardo pomeriggio avrebbero preso l’aereo: quel volo di linea IH870 che non atterrò mai”.

La ricostruzione dei fatti di Ustica

L’aereo, partito dall’aeroporto di Bologna-Borgo Panigale, è diretto all’aeroporto di Palermo-Punta Raisi. La partenza è programmata, come da orario della compagnia Itavia, per le 18:15, ma viene posticipata di quasi due ore, a causa dell’arrivo in ritardo dell’ aeromobile Douglas.

Nonostante le due ore di ritardo, l’IH870 parte normalmente. Sono circa le 20.30. Il cielo è sereno, non ci sono perturbazioni. Manca poco all’atterraggio a Palermo, alle vacanze, all’abbraccio con i familiari. È una tipica sera d’estate, c’è ancora un filo di luce a custodire il viaggio dei passeggeri. Qualcuno parla con il vicino di sedile, qualcun altro sonnecchia, qualche bambino fa i capricci perché non vede l’ora di arrivare. Nel dolce brusio del viaggio, all’improvviso si sente un boato. L’aereo dell’Itavia esplode. Precipita nel mare vicino Ustica senza lasciare scampo a nessuno. C’erano 81 persone a bordo, di cui 13 bambini. Fu una tragedia immane.

L’ultimo contatto radio risale alle 20.59 circa, con la torre di controllo di Roma Ciampino, quando l’aereo è a sud della capitale e inizia a sorvolare il mar Tirreno. Alle 21.04, chiamato per l’autorizzazione di inizio discesa su Palermo (dove era previsto arrivasse alle 21:13), il volo IH870 non risponde. L’operatore di Roma reitera invano le chiamate: lo fa cercare anche da voli dell’Air Malta (KM153, che segue sulla stessa rotta, e KM758), sempre senza ricevere risposta. Alle 21.25 scattano le operazioni di ricerca e di soccorso, che non danno esito. Parti del relitto dell’aereo e alcuni cadaveri riaffiorano dall’acqua la mattina successiva, non lontano dall’isola di Ustica, a sud di Ponza. Il velivolo si è letteralmente disintegrato e si è inabissato in fondo al mare. Non ci sono superstiti tra i 77 passeggeri e i 4 membri dell’equipaggio.

Il dramma di nonno Vito

“Quando arrivò la notizia – prosegue Pietrucci nel suo racconto – mio nonno Vito rimase per alcuni giorni senza parlare, era sconvolto. Oltre alla tragedia in sé, non si dava pace per essere stato lui a portare i viaggiatori sul pullman: era come se si sentisse in colpa e allo stesso tempo un po’ vittima, perché coinvolto di riflesso nel vortice di quel tragico destino, in cui morirono 81 persone e di cui, a decenni di distanza, vari aspetti non sono ancora chiariti in maniera compiuta, a partire dalla dinamica stessa. Fu un vero dramma per mio nonno, uno strappo che non si è mai ricucito.

La compagnia Itavia poco dopo chiuse i battenti, non poteva sopravvivere a una tragedia così grande. Mio nonno fu presto trasferito alla compagnia Alitalia: nel 1981 perse la liquidazione ed ebbe una riduzione della pensione.

Ancora oggi fatico a capire cosa sia successo, ma non posso dimenticare la grande sensibilità di mio nonno Vito, la sua integrità, il suo senso di giustizia che non riuscì mai a vedere compiuta in questa triste vicenda. Una pagina della storia di cui non si finisce ancora di parlare”.

Vito Sforza_dipendente Itavia
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